Crediamo che di fronte alle enormi difficoltà del mondo del lavoro, tutta l´area che ruota intorno ai valori di una destra sociale italiana, con tradizioni e ideali che ci arrivano da lontano, ben radicati e fortemente identitari, non possa esimersi dallo sferrare un attacco frontale allo scandalo del mondo delle cooperative che aggredisce quanto di più fondamentale dovrebbe esserci nella vita di un lavoratore: la sicurezza nel proprio futuro e la tutela del salario.
Stiamo assistendo allo smantellamento pezzo per pezzo di un welfare che, seppure con tutte le sue contraddizioni derivanti dalla natura politica degli Stati cosiddetti democratici, è comunque una applicazione di ammortizzatori sociali assolutamente necessari per il popolo.
Il movimento cooperativo da una fase primigenia improntata al fine mutualistico si è lentamente trasformato in un cancro che ha fagocitato interi settori dell'economia e che per la sua rilevanza ha prodotto fenomeni borderline di elusione, evasione fiscale e sfruttamento dei lavoratori e dei consumatori in una misura impressionante.
In un'analisi politica possiamo individuare diversi livelli del fenomeno. Abbiamo ad esempio un livello che definirei patologico, ed è rappresentato sicuramente da tutti quei piccoli e
medi imprenditori che al momento di decidere la costituzione della propria impresa, optano a favore della forma cooperativa, con evidenti benefici fiscali e impegni legali molto attenuati; è del resto storia comune ai professionisti consulenti, avvocati, commercialisti e quant´altro, l'affrontare problematiche del genere quasi quotidianamente.
C´è poi un fenomeno impressionante che vede moltissime piccole imprese ricattare i lavoratori, e obbligarli a costituire una cooperativa per mantenere il posto di lavoro, evitando tutti gli oneri connessi alla tutela dei diritti e risolvendo la questione della gestione del personale con un semplice pagamento della fattura alla fine del mese per le competenze lavorative.
Esiste poi un fenomeno politico di copertura, essenzialmente da parte del mondo genericamente di sinistra, per creare un sistema ad hoc di imprese cooperativistiche che vada a spartirsi gli appalti pubblici; anche qui è storia quotidiana di chi tenta di entrare in competizione per le opere e gli appalti pubblici, di venire esclusi, a favore di soggetti cooperativistici, dall´assegnazione perché il gioco al ribasso delle aste è spesso pilotato dagli stessi soggetti politici collusi a quel mondo. Nelle nostre regioni rosse sono stati gli anni '60 - '80 il momento più drammatico in cui nessun imprenditore riusciva a entrare in competizione a meno di non essere comunque coartato nel sistema finanziamento-tangente.
Ciascuno di questi capitoli meriterebbe da solo un approfondimento: ma il tema vero che emerge oggi con forza è quello, se vogliamo paradossale, che vede il mondo della sinistra, che a parole lancia strali infuocati in difesa delle vittime del precariato e contro certe politiche sociali, e che dall´altro, senza vergogna e senza remore, incentiva la diffusione delle stesse e la diminuzione dei diritti dei lavoratori attraverso il ricorso a piene mani nell´amministrazione pubblica e nell´economia privata, delle cooperative di lavoro.
Nella Pubblica Amministrazione, dobbiamo pensare ad esempio al settore sanità, delegato per legge alla gestione delle Regioni. I buchi di bilancio spaventosi derivanti, soprattutto nelle regioni di tradizione comunista, da una malasanità diffusa, e sempre coperta, perché porta un consenso elettorale inusitato, servono come alibi per una costante e inesorabile diminuzione delle piante organiche delle varie strutture sanitarie e per un ricorso massiccio alle cooperative esterne, di matrice politica, costituite spesso da personaggi fortemente legati alla politica locale. Il risultato è che abbiamo inserito infermieri anche extracomunitari, che hanno scarsissima professionalità, abbiamo dipendenti che per la natura del contratto di lavoro cooperativo non possono usufruire dei corsi di aggiornamento e ci troviamo di fronte ad un esercito di precari che lavorano per la durata dell´appalto e poi vengono buttati a mare perché all´appalto successivo concorrerà e vincerà un´altra cooperativa, magari connotata diversamente o appartenente a una corrente politica diversa, in modo che la spartizione del denaro pubblico, negli anni, venga attuato con una sorte di criterio compensativo. Senza contare che i livelli retributivi dei dipendenti cooperativi, non solo nel settore sanità ma anche nell´autotrasporto, nei traslochi e facchinaggi, ecc. sono in genere inferiori di circa 200 euro al mese, e l´estrema ricattabilità del lavoratore sulle scelte operate dalla coop è di facile intuizione.
Ciò che abbiamo riportato sinteticamente dovrebbe concorrere a farci riflettere e a produrre azione politica di sostegno alle fasce più deboli del popolo italiano che di fronte ad un mondo economico guidato oramai solo dal profitto a tutti i costi e da una globalizzazione che pare non lasciare scampo ai più deboli del mercato - dai più giovani fino a quelli che a 50 anni si ritrovano senza un lavoro e senza compensazioni sociali, alle donne che stentano ad affrancarsi da una ricattabilità estrema nel mondo del lavoro - pare che abbia individuato nel mondo cooperativo la panacea alla disoccupazione. Non è così. Dobbiamo avere la lucidità di non pensare che sia meglio un posto da precario piuttosto di niente; la nostra lotta politica deve essere di supporto per arginare questo fenomeno distorto che rischia di diventare strutturale in alcuni settori-chiave della vita economica nazionale.
medi imprenditori che al momento di decidere la costituzione della propria impresa, optano a favore della forma cooperativa, con evidenti benefici fiscali e impegni legali molto attenuati; è del resto storia comune ai professionisti consulenti, avvocati, commercialisti e quant´altro, l'affrontare problematiche del genere quasi quotidianamente.
C´è poi un fenomeno impressionante che vede moltissime piccole imprese ricattare i lavoratori, e obbligarli a costituire una cooperativa per mantenere il posto di lavoro, evitando tutti gli oneri connessi alla tutela dei diritti e risolvendo la questione della gestione del personale con un semplice pagamento della fattura alla fine del mese per le competenze lavorative.
Esiste poi un fenomeno politico di copertura, essenzialmente da parte del mondo genericamente di sinistra, per creare un sistema ad hoc di imprese cooperativistiche che vada a spartirsi gli appalti pubblici; anche qui è storia quotidiana di chi tenta di entrare in competizione per le opere e gli appalti pubblici, di venire esclusi, a favore di soggetti cooperativistici, dall´assegnazione perché il gioco al ribasso delle aste è spesso pilotato dagli stessi soggetti politici collusi a quel mondo. Nelle nostre regioni rosse sono stati gli anni '60 - '80 il momento più drammatico in cui nessun imprenditore riusciva a entrare in competizione a meno di non essere comunque coartato nel sistema finanziamento-tangente.
Ciascuno di questi capitoli meriterebbe da solo un approfondimento: ma il tema vero che emerge oggi con forza è quello, se vogliamo paradossale, che vede il mondo della sinistra, che a parole lancia strali infuocati in difesa delle vittime del precariato e contro certe politiche sociali, e che dall´altro, senza vergogna e senza remore, incentiva la diffusione delle stesse e la diminuzione dei diritti dei lavoratori attraverso il ricorso a piene mani nell´amministrazione pubblica e nell´economia privata, delle cooperative di lavoro.
Nella Pubblica Amministrazione, dobbiamo pensare ad esempio al settore sanità, delegato per legge alla gestione delle Regioni. I buchi di bilancio spaventosi derivanti, soprattutto nelle regioni di tradizione comunista, da una malasanità diffusa, e sempre coperta, perché porta un consenso elettorale inusitato, servono come alibi per una costante e inesorabile diminuzione delle piante organiche delle varie strutture sanitarie e per un ricorso massiccio alle cooperative esterne, di matrice politica, costituite spesso da personaggi fortemente legati alla politica locale. Il risultato è che abbiamo inserito infermieri anche extracomunitari, che hanno scarsissima professionalità, abbiamo dipendenti che per la natura del contratto di lavoro cooperativo non possono usufruire dei corsi di aggiornamento e ci troviamo di fronte ad un esercito di precari che lavorano per la durata dell´appalto e poi vengono buttati a mare perché all´appalto successivo concorrerà e vincerà un´altra cooperativa, magari connotata diversamente o appartenente a una corrente politica diversa, in modo che la spartizione del denaro pubblico, negli anni, venga attuato con una sorte di criterio compensativo. Senza contare che i livelli retributivi dei dipendenti cooperativi, non solo nel settore sanità ma anche nell´autotrasporto, nei traslochi e facchinaggi, ecc. sono in genere inferiori di circa 200 euro al mese, e l´estrema ricattabilità del lavoratore sulle scelte operate dalla coop è di facile intuizione.
Ciò che abbiamo riportato sinteticamente dovrebbe concorrere a farci riflettere e a produrre azione politica di sostegno alle fasce più deboli del popolo italiano che di fronte ad un mondo economico guidato oramai solo dal profitto a tutti i costi e da una globalizzazione che pare non lasciare scampo ai più deboli del mercato - dai più giovani fino a quelli che a 50 anni si ritrovano senza un lavoro e senza compensazioni sociali, alle donne che stentano ad affrancarsi da una ricattabilità estrema nel mondo del lavoro - pare che abbia individuato nel mondo cooperativo la panacea alla disoccupazione. Non è così. Dobbiamo avere la lucidità di non pensare che sia meglio un posto da precario piuttosto di niente; la nostra lotta politica deve essere di supporto per arginare questo fenomeno distorto che rischia di diventare strutturale in alcuni settori-chiave della vita economica nazionale.
Gabriele Venezi
da :Ordine Futuro del 31/03/2009
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