lunedì 26 luglio 2010

Chiudono i consorzi agrari


Ormai la notizia è ufficiale,i consorzi agrari delle province di Salerno,Napoli ed Avellino,dopo aver trascorso svariati anni in liquidazione coatta amministrativa,chiudono i battenti.
L'onere della decisione e della conseguente comunicazione è ovviamente risultato a carico del dott. Giovanni Tomo,attuale commissario del C.A.I. SA.NA.AV (Consorzio Agrario Interprovinciale di Salerno Napoli ed Avellino),che in una riunione tenutasi questa mattina presso la sede di Avellino,ha ufficialmente liberato da ogni impegno agenti e dipendenti.
Verranno ora avviate le pratiche per la mobilità dei dipendenti,mentre per gli agenti non resta che lo sconforto per aver dato anima e corpo ad una realtà che non c'è più ed è sicuramente a loro che va la solidarietà della Lega Della Terra.
Si chiude così,tra lo scontento degli addetti ai lavori, la storia di una delle istituzioni più significative che questo secolo ha visto passare sul mondo agricolo,si perchè i consorzi agrari non devono essere ricordati come un carrozzone politico così come li ha fatti diventare la politica moderna, ma come centri nevralgici degli scambi,degli ammassi dei cereali,delle pratiche di piano verde, (pratiche di pagamenti agevolati che i consorzi agrari mettevano a dipsposizione degli agricoltori negli anni difficili del post terremoto del 1980) e come punto di riferimento per l'assistenza che veniva offerta in ogni settore,dalla zootecnia alla cura delle colture,senza contare che proprio i consorzi agrari sono stati i primi,insieme alla S.I.A.P.A a credere ed investire nella lotta biologica alle problematiche delle colture.
In conclusione,l'unica cosa che sicuramente emerge da simili situazioni è la sofferenza economica dei luoghi in cui in cui si verificano,perchè un'azienda che chiude,non è sintomo di benessere.

martedì 20 luglio 2010

L'economia che bisogna cambiare. Una prospettiva anti capitalista




Ormai il velo delle menzogne è sempre più trasparente: al di là del parere e delle azioni di economi, economisti e scienziati, cosciamente tutti pensano che il treno turbo-capitalista, senza conducente e lanciato a tutta velocità, stia arrivando al termine della corsa. Il disastro è imminente, lento ma inevitabile.
Il capitalismo è davvero in dirittura d'arrivo?
Il capitalismo è un sistema economico malato che viene tenuto in vita artificialmente con l'aiuto di strumenti creati da esso stesso.
Il capitalismo propriamente inteso è vissuto su di un assetto sociale e culturale che si è trascinato fino ad oggi, modificandosi via via, ma mantenendo stabile il medesimo processo funzionale. Il quadro generale della crisi economico-finanziaria è quello di una destabilizzazione sistemica globale della circolazione di merci e capitale a livello del mondo appunto globalizzato. Le precedenti crisi finanziarie degli ultimi anni si configurano come un riflesso e al tempo stesso una causa di eventi e condizionamenti esterni all'economia, di natura politica e geopolitica (l'attentato al WTC e le successive esperienze militari dell'Occidente in Afghanistan e Iraq). Quella di oggi invece si configura come una crisi "endogena", figlia di dinamiche proprie di un processo di crescita e sviluppo minato dall'interno delle economie occidentali a capitalismo avanzato. È cominciata con i mutui subprime, che hanno innescato un meccanismo di insolvibilità generale e hanno tirato giù un castello di carta fatto di titoli e fondi speculativi. Un'onda lunga che ha travolto le banche provocando una crisi generale del settore finanziario portandolo sull'orlo di una bancarotta globale.
Assistiamo ora ad un' inversione del fenomeno della crisi teorizzato da Marx, ovvero un fenomeno ciclico di sovrapproduzione, una condizione che determina prima una crisi dell'economia reale e solo successivamente una destabilizzazione negativa della finanza. L'odierna crisi finanziaria ha determinato un riflesso sull'economia reale. Riduzione del credito, degli investimenti, riduzione del personale, riduzione generale del reddito disponibile e della propensione al consumo: una riduzione della domanda che innesca una spirale macroeconomica che tende a riprodurre e acuire il medesimo processo critico, e quindi continuo ridimensionamento della forza lavoro attiva dovuto a crisi o fallimento delle industrie.
Questa crisi ha molte affinità con quella avvenuta nel 1857, la quale si configurò come la prima crisi finanziaria mondiale della storia, che per modalità di evoluzione ci suggerisce come il processo di interdipendenza internazionali dei mercati fosse allora già presente e quindi condizione strutturale del capitalismo, oggi diremmo, come sistema globale. La crisi del '57 fu originata dal fallimento di una banca newyorkese che portò in breve tempo il panico in Austria, Germania, Francia e Inghilterra (il parallelismo con la crisi attuale è evidente). Questo evento produsse valutazioni innovative rispetto, ad esempio, ai nuovi strumenti finanziari (i precursori dei moderni "futures") che prendevano piede nelle finanze nazionali e condizionarono non poco l'evoluzione della crisi nella sua dimensione internazionale, anche lì (come oggi) accompagnata da un'espansione anomala e incontrollata del credito.
Oggi si è innescato un piano di salvataggio globale dove possiamo assistere al tentativo di autosalvataggio del capitalismo posto in atto dai governi occidentali a mezzo di operazioni concordate con il Fondo Monetario Internazionale che ogni settimana rivaluta la stima del suo costo complessivo (4.000 miliardi di dollari si era detto).
Quello che occorre considerare è la possibilità che la proliferazione di quella che viene generalmente definita "finanza creativa", delle massicce soluzione speculative delle istituzioni bancarie, l'espansione del credito, il boom dei prodotti derivati, riveli una necessità del capitale di trovare nuovi canali di accumulazione di fronte ad uno scenario produttivo che non riesce più a garantire margini di profitto adeguati. In altre parole, la crisi odierna si potrebbe configurare come un diversivo obbligato e rischioso per ovviare alla riduzione dei margini di profitto della produzione reale e dell'accumulazione di capitale connessa. In fondo se pensiamo al panorama economico dove la stessa circolazione monetaria è in balia dei moltiplicatori monetari delle banche e ad una moneta completamente slegata da ogni tipo di controvalore reale (aureo per il dollaro fino al 1971), non è difficile immaginare come i freni ad una finanziariarizzazione dell'economia globale siano svaniti nel corso degli anni. Una fuga in avanti dai termini concreti dell'economia reale basata sulla produzione e sulla vendita di merci.
In definitiva ci troviamo di fronte ad una crisi prodotta da un grave ed esteso processo di sovrapproduzione di merci di fronte alla più grande saturazione del mercato che la storia del capitalismo abbia mai verificato, una destrutturazione endogena del sistema finanziario, quanto come un risultato di una scelta obbligata dell'economia globale di fronte alla saturazione del mercato dell'economia reale, e in quest'ottica la crisi finanziaria non sarebbe la causa del processo critico globale ma un suo effetto.
Questa ipotesi poggia sulla valutazione di settori di mercato, e sia chiaro che quando parliamo di mercato ci riferiamo all'Occidente, dove i mercati sono saturi da un pezzo. La fuga in avanti della finanza quindi può leggersi come un processo tendente a sopperire ai rallentamenti in termini tendenziali della produzione e a mantenere stabili i termini di crescita dell'economia globale. La finanziariarizzazione quindi come droga prestazionale per un economia a rischio stagnazione o default. Se facciamo una valutazione storica sulle condizioni del mercato capitalistico ci accorgeremo di come le forze produttive, che negli anni dello sviluppo fordista garantivano la crescita sulla base di un mercato di prima copertura di beni, oggi funzionino per la maggior parte nel "mercato di sostituzione", un mercato che tende a produrre beni che sostituiscono quelli preesistenti della stessa tipologia per esaurimento di questi ultimi o per avanzamento tecnologico dei primi. Ora, se verifichiamo che importanti settori del mercato occidentale hanno passato il limite della saturazione (il settore automobilistico, in particolare quello europeo che tende a segnare un calo percentuale a due cifre delle immatricolazioni, le telecomunicazioni, specie quelle mobili che segnano una flessione del 20% sulle vendite di apparecchi cellulari, in generale i supporti tecnologici e informatici che in questi anni tanto hanno sostenuto la crescita con un'espansione che sembrava non aver fine) possiamo vedere come prima cosa il rallentamento strutturale della produzione, che per dimensioni non potrà essere certo sostenuto dalla scelta strategica di produrre merci con una vita media di utilizzo più breve, come è stato fatto negli ultimi 2 decenni.
Il sogno finanziario degli anni 2000 (e relativo crollo) è figlio di questa condizione strutturale del mercato. Un'ipotesi interessante, soprattutto perché preannuncerebbe una crisi sistemica strutturale, e non più solo funzionale, del capitalismo avanzato e del capitalismo stesso, nel caso questo dimostrerà di avere esaurito il suo ciclo di sviluppo in Occidente, riproducibile ormai in maniera esclusiva (e quindi suicida nell'ottica di un'economia globale), dai paesi in via di sviluppo, in particolare dalla Cina, India e dalle tigri asiatiche. Possibile ritenere la situazione attuale come l'inizio di un processo di destabilizzazione definitiva dello sviluppo capitalistico, soprattutto nella misura in cui è possibile valutare la finanziarizzazione progressiva dell'economia come il trattamento forzato utilizzato per tenere in vita un capitalismo in stato di coma vegetativo permanente, la cui morte cerebrale è verificabile nel mutamento irreversibile delle dimensioni storiche dei rapporti di produzione e delle determinazioni sociali tipiche del capitalismo e necessarie alla sua esistenza in quanto tale.
Molto complesso e aleatorio fare ipotesi su quanto durerà questo processo, impossibile valutarlo con certezza.
Concludendo, al di là delle analisi macro economiche, possiamo passare a ciò che a noi più importa, ovvero alle ripercussioni reali che questa crisi ha sulle famiglie. In Europa ma soprattutto in Italia.
La giostra della menzogna mediatica è in pieno funzionamento. Fino a poco fa, ascoltavamo infatti i membri dell'odierna classe dirigente che tentavano di rassicurarci dicendo che la crisi economica mondiale avrebbe intaccato solo marginalmente il sistema Italia, ma intanto la nostra percezione della crisi e delle sue sempre più evidenti ripercussioni sull'economia reale aumentava ogni giorno di più.
Sui quotidiani locali, possiamo leggere ogni giorno articoli che annunciano la chiusura di questa o quella fabbrica con annesse mobilità e cassa integrazione per gli operai.
Infine, dopo tante ciance e tante rassicurazioni il ministro dell'economia Giulio Tremonti, ha annunciato un intervento durissimo fatto di tagli alla spesa sociale e di blocco degli stipendi pubblici, bilanciati da un aumento della lotta all'evasione fiscale. Questa la manovra finanziaria di 27 miliardi in due anni che è stata presentata ai rappresentanti degli enti locali, Regioni, Province comuni e comunità montane. Il ministro ha in definitiva ribadito la necessità di sacrifici per aggiustare i conti pubblici, riportare il disavanzo sotto il 3% rispetto al Prodotto interno lordo e salvare l'euro. Manovre già previste in passato da ministri di tutt'altra estrazione come Visco e Padoa Schioppa. Questo a rimarcare per l'ennesima volta come, ormai, le idee sono sostituite dall'esigenze di mercato e le attuazioni sono decise dai signori della finanza e dell'impresa a discapito delle fasce economiche più deboli.
Dati i recenti sviluppiprevediamo nuove prossime misure che andranno ad incidere ancora sui diritti dei lavoratori per poter "rilanciare" le grandi imprese, nella cui mentalità protestante e priva di scrupoli si nasconde lo stesso seme che ha partorito gli speculatori, e renderle "competitive". Tali manovre saranno come al solito propugnate e coadiuvate da Confindustria ed accompagnate dall'abituale lassismo delle organizzazioni sindacali le quali, salvo sparute eccezioni, sono totalmente piegate ai voleri dei signori del palazzo.
Inevitabilmente quindi, dato il peggioramento dello condizioni lavorative, assisteremo ad un impoverimento evidente delle famiglie. A questo dobbiamo aggiungere i preannunciati tagli allo stato sociale. Perchè le risorse vengono recuperate dai tagli alle politiche sociali ed alla sanità, mentre le risorse servono a mantenere il nostro esercito negli avamposti che le forze imperialiste anti-europee hanno conquistato in Iraq ed Afghanistan.
Anche la Grecia, la Spagna ed il Portogallo dove un certo stato sociale ed i diritti dei lavoratori non avevano subito negli anni le stesse amputazioni come da noi, si sono visti costretti a ritoccare l'età pensionabile, i minimi salariali e ovviamente la pressione fiscale.
Noi non crediamo che la crisi economica dovuta ad un modello economico e finanziario demenziale la debbano pagare i lavoratori e le famiglie e che si debba lottare per giungere finalmente ad un modello di sviluppo alternativo che possa garantire dignità a tutte le classi sociali ed arrivare ad una politica statale che garantisca politiche sociali concrete ed immediate.
Cittadini d'Europa e d'Italia, non fatevi ingannare , la crisi è doveroso che la paghi chi per anni si è arricchito alle spalle dei popoli. People of Europe Rise Up!

Alessandro Zanelli
Fonte: Il Megafono

venerdì 16 luglio 2010

Lega della Terra e quote latte

proponiamo da: www.legadellaterra.com



Oggi, sabato 10 luglio 2010, ancora il solito balzello sulle quote latte : chi ha splafonato deve pagare oppure no ?
Lega della Terra è senza ombra di dubbio dalla parte di chi ha sempre rispettato la legge, pur storcendo il naso, rispettando i limiti produttivi imposti ed adeguandosi nel caso a comprare nuovi diritti a produrre o ad affittarli.
Ma la legge sulle quote latte è una legge giusta ? Nonostante l’Italia sia un paese deficitario nella produzione del latte vaccino, è giusto limitare i propri allevatori ed importare cospicue quantità di latte – quasi il 50% del nostro fabbisogno – dall’estero ? Perché alcune centinaia di allevatori, contro i 40.000 onesti che rispettano le regole, si ostina a non rispettare i limiti aziendali imposti dalle quote latte, e continua a produrre in eccesso alla propria quota, per giunta rifiutandosi di pagare le multe ?
Già nel lontano 1983 si cominciò a parlare di limitare la produzione di latte vaccino in Europa, causa un eccesso di offerta e i continui ammassi di prodotto stoccato – in particolare burro e latte in polvere – per salvaguardare il prezzo del prodotto. Si cominciò a rilevare le produzioni nazionali di latte prodotto, e si arrivò così a imporre lo stop ad ulteriori aumenti di produzione, decidendo di fissare quote nazionali. L’Italia fu effettivamente penalizzata in quanto la sua produzione nazionale di latte vaccino era allora intorno al 60% del fabbisogno nazionale, rispetto a paesi come l’Olanda o il Belgio che producevano il 300% del fabbisogno, ma fu premiata nella salvaguardia della sua industria manifatturiera e siderurgica, allora una delle più importanti in tutta Europa.
Era il 1984, e lo Stato italiano decise di aderire a questo sistema, frazionando la quota nazionale in altrettante quote individuali, per una migliore applicazione dei controlli. Fin da subito alcuni allevatori non rispettarono i limiti imposti, accumulando multe che consistevano nel prezzo del latte corrente più una maggiorazione del 15%. Ma la rigidità della legge e dei regolamenti fu ben presto raggirata da politici compiacenti e dagli stessi sindacati agricoli, che allora minimizzavano sul problema. Le quote latte furono suddivise in quota A ( riferita all’anno produttivo 1983 ) e quota B ( la maggior produzione dall’83 al 1991 ). Numerosi regolamenti legislativi crearono una tale confusione da non permettere uno sviluppo armonico del sistema quote, come ad esempio fu disincentivato l’acquisto di quota A perché si sarebbe andati a perdere l’equivalente disponibilità di quota B ( che ricordiamo era una quota disponibile all’allevatore per produrre latte aziendale ma non poteva venderla o cederla in affitto, perché maturata dopo l’anno 1983, anno di riferimento delle quote latte ). Oppure si verificò il caso di un commercio vero e proprio di diritti a produrre, effettuato proprio dai sindacati agricoli degli allevatori ( in primis Coldiretti e Unione Allevatori ), con tanto di provvigione , andando a riesumare vecchi ed ormai estinti diritti a produrre del 1983 e vendendoli come attuali a nuovi allevatori, oppure superando i limiti imposti dalla legge che chiedeva un massimo di 300 qli di latte prodotto per ettaro di proprietà coltivabile, oppure eccedendo nel prezzo di vendita, che andava così a premiare solo chi smetteva di produrre, ma penalizzava chi continuava a restare sul mercato.
Nonostante tutto ciò, la grandissima maggioranza degli allevatori italiani si adeguò al sistema quote latte sperando di salvaguardare il prezzo di vendita del prodotto, ma una limitata percentuale di allevatori – non più del 5% - continuò a produrre in eccesso, andando ad offrire al mercato un prodotto fuori quota che andava solo a danneggiare il prezzo di vendita del latte nel suo insieme e favoriva solamente gli industriali del latte , che lavoravano il prodotto con forti valori aggiunti, mentre gli allevatori non percepivano il prezzo perché per legge la somma era ritenuta per il pagamento delle multe. Poi la politica fece il resto, andando ad appoggiare quella minoranza di allevatori splafonatori, in primis la Lega Nord, che in seguito presero il nome di Cobas del latte, ritornando agli allevatori stessi le somme accantonate per le multe, e innescando innumerevoli ricorsi ai tribunali amministrativi.
Mentre gli onesti compravano quote, accendendo mutui e prestiti anche a discapito di altri possibili investimenti nella produzione, i Cobas vendevano latte fuori quota, compravano terreni e ampliavano le aziende. Ora i Cobas non vogliono pagare le multe, adducendo frodi nell’importazione di latte in polvere o nell’assegnazione delle quote individuali, che pure ci sono state, ma tali da non compromettere i livelli produttivi nazionali. Numerose indagini amministrative hanno valutato la correttezza dei dati nazionali, tutti i tribunali hanno ormai convenuto sulla non accettazione di ulteriori ricorsi, ma la politica di questo governo si ostina a coprire e sostenere chi non ha rispettato le regole, proponendo un ulteriore stop, e diciamolo pure una sorta di sanatoria, sul pagamento delle multe. La lega Nord ha ormai passato il segno, e dopo innumerevoli leggi a favore dei Cobas con rateizzazioni prima 14ennali e poi 30ennali, con attribuzione gratuita di ulteriori quote latte concesse dalla Comunità Europea e distribuite solo agli allevatori splafonatori ( !!! ), ora, davanti all’ostinazione dei Cobas di non pagare ancora le multe, propone una sanatoria.
Per LEGA DELLA TERRA il punto è uno solo : chi esce di un solo litro di latte dal suo riferimento aziendale, in coscienza sa che è fuori regola e deve pagare una multa !
A nulla valgono richiami alle frodi o al conteggio finale nazionale, le multe vanno pagate, anche per rispetto di migliaia di allevatori che hanno rispettato le regole.
Lega Nord e PDL sono la prova evidente del non rispetto delle regole, della politica che premia i più furbi e i più scaltri, del rapporto clientelare politica-elettore e del voto in cambio del favore, in questo caso truffaldino.
Che poi il sistema quote latte al giorno d’oggi non sia più confacente al mercato, questo è un altro problema. Infatti oggi, con la globalizzazione dei mercati e l’invasione di prodotti esteri , anche latte in particolar modo dai paesi del Nord Europa e dalla Nuova Zelanda, non ha più senso limitare la produzione. Ma se così deve essere , deve valere per tutti e non solo per i Cobas. Se ci sono battaglie da fare, vanno fatte tutti insieme, sia contro le frodi nazionali, sia per la liberalizzazione delle produzioni.
Per LEGA DELLA TERRA e FORZA NUOVA l’unico mezzo, che può garantire la sopravvivenza del comparto agricolo e la salvaguardia del prezzo in questo Sistema globale, è la valorizzazione dei prodotti tipici italiani, latte compreso, con l’etichettatura dei prodotti e la garanzia d’origine e di filiera produttiva, nonché una forte azione di controllo e repressione frodi. Mezzo che è osteggiato dal Sistema economico e industriale, per poter continuare a vendere prodotti a “prezzo italiano”, ma di “origine estera”, cioè continuando a frodare la legge e i regolamenti nazionali.
LEGA DELLA TERRA e FORZA NUOVA si batteranno strenuamente per la difesa degli allevatori che hanno sempre rispettato le regole e per la salvaguardia delle nostre tipicità agricole.

Paolo Zattoni.

domenica 4 luglio 2010

C'è ma non si vede...o non si dice


Dalle mie parti si dice che non c'è povertà senza difetto e mai come in questo periodo ritengo sia una delle massime più azzeccate.
In tempi come questi, in cui le mozzarelle diventano blu e non ce ne spiegano(credibilmente) il perchè,possiamo azzardare un'ipotesi ed una provoczione.
La versione ufficiale spiega che la mutazione cromatica avviene a causa di un batterio sviluppatosi in ambienti poco igienici utilizzati per la caseificazione ma è anche lecito chiedersi se sia possibile che il tutto sia accaduto per aver utilizzato,al posto del latte vaccino,del latte in polvere per uso zootecnico contenente dei traccianti, come prevedeva il ddl 4550 del 2000.
Se questa "assurda" ipotesi fosse vera,visto che questa legge è stata abrogata nel 2006,vorrebbe dire che qualcuno vi ha introdotto di proposito dei traccianti o peggio che è stato utilzzato del latte in polvere vecchio di almeno quattro anni.
Quindi,qualunque sia la verità,la situazione non cambia,L'italia importa beni alimentari per nulla o scarsamente controllati,mettendo i nostri piccoli produttori in diretta concorrenza con aziende che grazie a leggi a dir poco permissive ci rifilano ogni genere di porcheria alimentare attirando il pubblico con prezzi impossibili.
E poco conta anche lo sfogo del Ministro Tremonti,giustamente adirato nei cofronti degli amministratori delle regioni meridionali;
"Basta cialtroneria ed irresponsabilità da parte di quelle realtà meridionali che prima protestano poi prendono i soldi" . "Il Sud nell'ambito del programma d'investimento dei fondi europei relativo al periodo 2007-2013 ha ottenuto uno stanziamento di 44 miliardi di euro, però gli amministratori meridionali hanno speso appena 3,6 miliardi".
"Si protesta per i tagli subiti però nel frattempo i soldi pubblici in arrivo dall'Unione Europea non vengono spesi, questo è un fatto gravissimo e la colpa non si può ascrivere a governi di destra o sinistra ma alla cialtroneria di chi prende i soldi e non li utilizza."
Poco conta perchè queste cose succedono in un Paese che lui stesso rappresenta e che gli ha permesso di diventare Ministro(non è stato eletto solo con i voti padani sa signor ministro?
non crede che oltre alle dovute ramanzine dirette agli amministratori avrebbe potuto trovare una soluzione più efficace che levare risorse a chi già non ne ha?)

Restano in ultimo i Consorzi Agrari,ultimo baluardo dell'IRI,ancora in agonia dopo non ricordo più quanti anni,sono cambiati i governi e di conseguenza i commissari (I Consorzi Agrari sono in liquidazione coatta amministrativa) ma non cambia il modus operandi, ovvero si lascia che gli eventi scorrano sugli eventi senza mettere sul tavolo nessun piano di rilancio serio.
A marzo di quest'anno sono stati addirittura bloccati gli acquisti,lasciando di fatto le agenzie vuote proprio nel periodo del risveglio delle campagne negando agli agenti ogni possibilità di vendita e di guadagno (gli agenti dei Consorzi Agrari vengono retribuiti con percentuali sulle vendite),senza contare il fatto che per loro non ci sono ammortizzatori sociali.Nonostante tutto però anche il commissario attualmente in carica continua a rassicurare tutti sui suoi propositi di rilancio,purtroppo per il momento solo a parole visto chè è difficile spiegare come si intende far rinascere un'attività commerciale bloccandone l'esercizio...misteri dell'economia...

Non ci resta che riflettere sulle cose che ci accadono intorno quotidianamente con occhio sempre critico perchè a volte quel che c'è non si vede...o non si dice.