giovedì 31 dicembre 2009

Dalla redazione di Montella un sincero augurio per un 2010 ricco di soddisfazioni.

mercoledì 30 dicembre 2009

Come realizzare un piccolo macello aziendale



Il consumatore, anche nelle carni di selvatici, ricerca la freschezza. Questa caratteristica è la capacità dell'alimento di trasmettere quella "vitalità residua" ancora presente nelle carni fresche e che spingeva, nell'antichità, i cacciatori a cibarsi subito del fegato della loro preda proprio per appropriarsi della vita dell'animale.
In merito a questo problema spesso l'iniziativa di molti imprenditori, il più delle volte giovani, è stata soffocata dalle difficoltà burocratiche legate al rilascio delle necessarie autorizzazioni e ai costi onerosi che una piccola azienda doveva sopportare. Grazie però ad alcuni regolamenti CEE e a leggi nazionali è oggi possibile, utilizzando solo due soli locali, realizzare strutture idonee che consentono, senza eccessivi costi, la macellazione e la vendita dei prodotti allevati in azienda.


Ecco come fare per ottenere l'autorizzazione alla macellazione diretta in azienda e realizzare locali idonei allo scopo.
Le domande per il rilascio dell'autorizzazione sanitaria(2) per i locali destinati alla macellazione devono essere inoltrate al sindaco del comune di appartenenza e devono contenere:

  • il nome, la ragione sociale e la sede dell'impresa agricola;

  • l'indicazione dell'ubicazione dell'impianto;

  • l'indicazione delle specie che si intendono macellare;

  • l'eventuale carattere stagionale delle macellazioni;

  • l'indicazione del presumibile termine di approntamento dei locali per la macellazione;

  • pianta planimetrica dei locali in scala non superiore a 1:500;

  • descrizione sommaria dei locali, degli impianti e delle attrezzature;

  • indicazioni relative all'impianto di approvvigionamento idrico;

  • indicazioni relative allo smaltimento dei rifiuti;

  • indicazione dei sistemi scelti per assicurare la salubrità e la conservazione delle carcasse.


L'autorizzazione viene rilasciata entro 30 giorni(2) dal ricevimento della comunicazione dell'interessato di avvenuto approntamento dei locali.
Per la realizzazione di un impianto aziendale di macellazione idoneo a lavorare non più di 10.000 capi all'anno, suddivisi in piccole quantità (circa 100-300 capi alla settimana), sono sufficienti due locali di adeguata ampiezza: m2 4x4 l'uno. I locali per la macellazione devono essere costruiti in modo tale da garantire una facile ed adeguata pulizia. A tale proposito il pavimento e le pareti, sino ad almeno 2,00 metri di altezza, devono essere piastrellati mentre il soffitto e la parte terminale delle pareti devono essere ricoperte da intonaco lavabile. In questo modo gli ambienti sono facilmente lavabili e disinfettabili. Le due stanze devono poi essere sufficientemente illuminate e aerabili sia per prevenire eventuali condensazioni di vapore, sia per evitare lo sviluppo di muffe. Le finestre devono essere provviste di zanzariere per evitare la presenza di insetti; in ogni caso deve essere impedita la presenza di roditori e altri animali. L'acqua potabile deve essere disponibile in quantità sufficiente e accessibile grazie alla presenza di lavelli in acciaio inox, azionabili anche senza l'impiego delle mani (azionabili con un gomito, un piede o un ginocchio) facilmente reperibili in commercio e appositamente costruiti. La raccolta delle acque di lavaggio deve poi essere garantita da appositi sistemi a sifone da posizionare preferibilmente al centro del pavimento. Per una maggiore igiene e facilità di pulizia è poi possibile rifinire spigoli ed angoli con cornici, piedini e sgusci appositamente realizzati da ditte specializzate.


Più in particolare il primo locale viene adibito alle operazioni di stordimento, dissanguamento, spennatura e spiumatura. Il secondo locale viene invece destinato all'eviscerazione alla conservazione delle carcasse (in apposito banco frigo) e all'eventuale vendita al dettaglio. Una tale suddivisione delle operazioni in locali diversi (dissanguamento e spennatura in un locale ed eviscerazione ed eventuale conservazione in un secondo locale) è infatti idonea per garantire l'igienicità dei prodotti in lavorazione.
Questi locali devono essere adibiti esclusivamente alla macellazione ed eventualmente alla vendita diretta in azienda e non possono essere destinati ad altri scopi.
Per quanto riguarda i servizi igienici e le docce possono essere considerati idonei allo scopo anche quelli presenti nell'abitazione dell'imprenditore.
Gli impianti, le attrezzature e gli utensili devono essere idonei allo scopo. A tale proposito per la macellazione di selvatici a penna (fagiano, quaglia, pernici, anatre, ecc.) sono necessari uno storditore, una pinza ed una vasca per il dissanguamento, una spiumatrice a secco e un carrello di raffreddamento. Per le diverse operazioni di eviscerazione devono essere utilizzati tavoli realizzati in acciaio inox.
Per quanto riguarda poi le attrezzature atte ad assicurare la salubrità e la conservazione delle carcasse possono essere utilizzati allo scopo dei banco frigo nel caso in cui si intenda procedere alla vendita diretta in azienda oppure delle celle frigo per conservare le carcasse prima di trasferirle a macellerie, ristoranti, ecc.
I locali, gli impianti, le attrezzature e gli utensili devono essere mantenuti in idonee condizioni igieniche con operazioni di ordinaria e straordinaria pulizia. Dopo ogni operazione di macellazione è opportuno quindi procedere anche alla sterilizzazione dei coltelli con appositi sterilizzatori.
Il personale addetto alla preparazione e alla vendita deve essere munito di apposito libretto di idoneità sanitaria rilasciato dall'ufficiale sanitario(2)

(1) D.P.R. 10 dicembre 1997, n. 495 (regolamento recante norme di applicazione della direttiva 92/116/CEE che modifica la direttiva 71/118/CEE relativa ai problemi sanitari in materia di produzione e immissione sul mercato di carni fresche di volatili da cortile) pubblicato nella Gazz. Uff. 26 gennaio 1998, n. 20.

(2) Legge 30 aprile 1962, n. 283 (Modifica degli artt. 242, 243, 247, 250, e 266 del T.U. delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265: Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanza alimentari e delle bevande) pubblicata nella Gazz. Uff. 4 giugno 1962, n. 139.

(3) D.P.R. 30 dicembre 1992, n. 559 (Regolamento per l’attuazione della direttiva 91/495/CEE relativa ai problemi sanitari e di polizia in materia di produzione e commercializzazione di carni di coniglio e selvaggina) pubblicata nella Gazz. Uff. 4 febbraio 1993, n. 28.

(4) Circolare del Ministero della Sanità 8 giugno 1999, n.9 (linee di indirizzo per l’applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 10 dicembre 1997, n. 495, concernente la produzione e l’immissione sul mercato di carni fresche di volatili da cortile e del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1962, n. 559, per quanto concerne la produzione di carni fresche di conigli e selvaggina allevata da penna) pubblicata nella Gazz. Uff. 19 luglio 1999, n. 167.

lunedì 28 dicembre 2009

Capitanata, meglio i pannelli solari del grano?



In Capitanata parchi fotovoltaici al posto del grano

Ha avuto luogo il 17 dicembre una protesta degli abitanti di Acquaviva Picena che non desiderano che al posto dei vigneti siano messi parchi solari. Ebbene a Foggia e nella sua provincia, in quella zona denominata Capitanata, vero granaio d’Italia, gli agricoltori stanno pensando seriamente di mettere da parte trattori e vanghe e di convertire i terreni agricoli in parchi solari, composti da migliaia di pannelli solari. Fotovoltaico al posto del grano?

Sembrerebbe di si. Ne parla la Gazzetta del Mezzogiorno, raccontando che:

In Capitanata siamo alla resa dei conti. A fine anno si fa il bilancio degli investimenti da effettuare nel prossimo anno e si pagano anche i debiti con banche e fornitori. Quest’anno sarà dura fare l’una e l’altra cosa. Le semine per il grano duro vengono date in picchiata, mentre non si è persa la fiducia di una moratoria sui debiti con l’Inps.

La virata in favore dell’energia ha dunque motivazioni esclusivamente economiche, per niente ambientaliste e conferma il fallimento della politica agricola italiana ed europea. Le cifre della conversione? Eccole: il grano duro è pagato 16 euro a quintale; da un ettaro di terreno si ricavano in media 30 quintali di grano, pari a circa 480 euro; affittare un terreno su cui poi saranno installati pannelli solari rende tra i 5000 e i 7000 euro per ettaro.

Intanto, sono già state presentate 6 mila richieste per installare su campi agricoli pannelli fotovoltaici per 18mila megawatt. Spiega Gianmaria Gasperi coordinatore del Pear, il Piano energetico regionale:

Il piano ha però un valore previsionale. Se ci accorgiamo che si può arrivare a 200 megawatt, quello dei 150 non è sicuramente un tetto tassativo. Il problema è che sul fotovoltaico è fiorito un commercio spropositato. Siamo convinti che quando, tra qualche mese, verranno esaminate tutte le domande ci sarà una selezione naturale dei progetti e solo quelli validi resteranno in piedi.

In Capitanata, però c’è anche chi preferisce usare i terreni agricoli per colture da destinare alla biomassa. Racconta Michele Ruberto agricoltore foggiano titolare della Mipa agricola:

A marzo del prossimo anno costruiremo a Foggia il primo impianto per la produzione di energia da biogas che avrà una potenza installata di 999 kilowatt. Abbiamo già avviato le coltivazioni di orzo e triticale, a maggio pianteremo anche sorgo e mais: in pratica sostituiamo con queste colture che poi andranno ad alimentare la centrale, coltivazioni ormai non più redditizie come il pomodoro e l’ortofrutta.

Ora non resta che da chiedersi cosa accadrà a quei campi invasi dagli impianti fotovoltaici quando il rispettivo mercato crollerà...


giovedì 24 dicembre 2009

sabato 19 dicembre 2009

IL LATTE DI CAPRA


Il latte di capra presenta alcune differenze importanti nei confronti di quello vaccino.
Il latte di capra può essere molto diverso a seconda delle razze: le più utilizzate per produrre latte sono la Camosciata delle alpi, la Saanen e l'Alpina.

La percentuale di carboidrati (lattosio) presenti nel latte di capra è simile a quella del latte vaccino, mentre esistono differenze notevoli riguardo la quantità ma soprattutto la qualità dei grassi e delle proteine.

Il latte di capra crudo o pastorizzato ha un sapore neutro molto simile a quello di vacca. Il latte di capra che si trova in commercio, invece, è sterilizzato (UHT) e ha quindi il classico aroma solforato del latte bollito.
Il grasso del latte di capra
Il grasso del latte di capra è molto variabile a seconda delle razze e delle zone di produzione. Mediamente, il grasso presente nel latte di capra è simile a quello del latte di vacca, dunque intorno al 4%.
I globuli di grasso del latte di capra sono più piccoli rispetto a quello di vacca e hanno membrane protettive piuttosto fragili. Questa caratteristica determina una sensibilità spiccata alla lipolisi, fenomeno che scinde i globuli di grasso liberando acidi grassi liberi. Questi composti sono responsabili del forte odore e sapore dei formaggi di capra, che si sviluppa molto rapidamente proprio per questa facilità alla lipolisi.
Il grasso del latte di capra contiene percentuali superiori di acidi grassi a catena corta (da C10 a C14, capronico, caprilico, caprinico), che danno ai suoi prodotti il caratteristico sapore.
Il grasso del latte di capra è privo di caroteni (vitamina A), questo fenomeno fa si che i formaggi di capra abbiano un colore particolarmente bianco, che diventa paglierino molto tenue solo dopo lunga stagionatura.
La piccolezza dei globuli di grasso consente di ottenere una dispersione uniforme e omogenea del grasso nella pasta dei formaggi, e anche una ricotta più saporita e grassa, poiché durante la lavorazione del formaggio i globuli di grasso sfuggono più facilmente dal reticolo di caseina andando a finire nel siero, dal quale poi verrà prodotta la ricotta.
Infine, il grasso del latte di capra è più digeribile proprio grazie alla maggior presenza di acidi grassi a catena corta.
Proteine del latte di capra
Le proteine del latte di capra contengono meno caseina, la proteine che forma la cagliata e che quindi ritroviamo nel formaggio, determinando una maggior difficoltà nella caseificazione.
Infatti il latte di capra produce cagliate meno consistenti, poco adatte ad essere portate ad alte temperature, più difficili da spurgare, impossibili da filare (la mozzarella di capra è un prodotto molto raro).
Queste caratteristiche rendono difficile la produzione di formaggi adatti a lunghe stagionature: è piuttosto difficile trovare formaggi di capra stagionati a lungo e interessanti dal punto di vista organolettico.
Le proteine del latte di capra sono molto simili a quelle del latte bovino, tuttavia molti studi hanno dimostrano che una percentuale elevata dei soggetti allergici al latte bovino lo sono anche al latte di capra, che quindi non risulta essere adatto ai soggetti allergici. Non ha nemmeno senso sostituire il latte di capra con quello bovino, se non si è allergici, poiché non si otterrebbe nessun vantaggio.
Latte di capra e colesterolo
Il latte di capra (e i prodotti derivati) sta diventando di gran moda per la sua presunta valenza salutistica. In particolare, molti spacciano i prodotti a base di latte capra come privi di colesterolo. Il latte di capra è quello che ha il minor contenuto di colesterolo se confrontato con il latte di pecora e vacca, bisogna però rilevare che:
- la differenza è minima, 10 mg per il latte di capra, 11 per quelli di pecora e vacca, per 100 g di prodotto. Una differenza del tutto trascurabile;
- il latte è un alimento povero di colesterolo, bisognerebbe assumere 30 litri di latte per arrivare alla quantità giornaliera massima!
Chi parla di assenza di colesterolo nel formaggio di capra o nel latte di capra sta professando il falso, chi lo scrive sulle etichette dei prodotti è passibile di denuncia. Chi invece parla di un ridotto tenore di colesterolo rispetto agli altri latti non dice il falso, ma sta promuovendo una caratteristica ininfluente dal punto di vista salutistico. Consiglio quindi di diffidare di entrambi gli "approcci commerciali".

venerdì 18 dicembre 2009

Distributori di latte crudo: «Moltiplicare gli impianti per far fronte alla crisi»



È la ricetta di Corrado Barcella, allevatore di Lentate sul Seveso:

Distributore di latte crudo: tutti ci hanno fatto un pensierino, molti lo hanno installato... Ma pochi sono andati oltre il singolo impianto, messo per integrare un reddito aziendale sempre più in sofferenza. Corrado Barcella, allevatore di Lentate sul Seveso (Mi) è uno di quei pochi: di distributori ne ha ormai sei, sparsi in un raggio di una quindicina di chilometri dalla stalla.

Una scelta che non si spiega con la sola volontà di guadagnare qualche soldo in più. Nella vendita diretta Barcella ci crede. «Anche noi abbiamo iniziato per rimpolpare gli introiti della vendita di latte, ovviamente. Poi nel tempo è diventata un'attività sempre più importante, quantomeno a livello di tempo impegnato. Non di guadagni, purtroppo, per le vicende che ben conosciamo».

Un crollo dopo il decreto bollitura

Affrontiamo subito la questione della crisi, allora: via il dente, via il dolore. «Abbiamo avuto un buon periodo, fino al dicembre dello scorso anno.

Dopo il primo distributore aperto nel novembre 2005 a Limbiate (uno dei primi in Italia, ndr), e il secondo, a Desio, gli altri sono arrivati perché abbiamo avuto un'ottima risposta da parte della popolazione. C'erano molti comuni che ci chiedevano di installare un impianto sul loro territorio, per non dire dei privati.

Così ne abbiamo messi altri quattro: a Limbiate (ancora una volta), a Bovisio Masciago, Nova Milanese e Meda. Poi a inizio 2009, con il decreto sulla bollitura, nel giro di 24 ore abbiamo avuto un crollo del 60% delle vendite. Crollo che purtroppo non si è ancora riassorbito».

Le cause, secondo l’allevatore, sono chiaramente legate all'ordinanza ministeriale, ma non soltanto. «C'è stata, io credo, anche una certa assuefazione da parte del consumatore. È finito l'effetto novità e soltanto chi crede nel principio ha continuato a rifornirsi presso i distributori. Inoltre non dimentichiamo che negli ultimi anni gli impianti si sono moltiplicati e naturalmente questo ha ridotto le vendite».

Speranze spostate ai mesi autunnali

Quale sia il principio “politico” che sta dietro gli erogatori di latte ce lo spiega Maria Grazia, moglie di Corrado e attivissima nella gestione burocratica (e non solo) della piccola catena distributiva aziendale. «È la filosofia della vendita diretta: un prodotto sano e sicuro acquistato direttamente presso il produttore. Io, sono sincera, ammiro le persone che comperano il latte crudo da noi. Sarebbe molto più comodo mettere la bottiglia nel carrello quando fanno spesa al supermercato; invece fanno una tappa in più per passare al distributore. È per loro che andiamo avanti, mentre oggi verrebbe voglia di lasciar perdere. Ma quando sentiamo di bambini che non vogliono nessun altro latte se non questo, oppure di persone che da anni non tolleravano il latte e ora lo bevono senza problemi, non ci va di smettere anche se le difficoltà sono parecchie. Certo, se oltre alle soddisfazioni personali ne arrivasse anche qualcuna economica sarebbe un'altra cosa».
Dalle parole di Maria Grazia, e prima ancora di Corrado, si capisce che le vendite non vanno molto bene.
«Alcuni punti di distribuzione, se volessimo fare i conti, sarebbero da chiudere. Ma non ci vogliamo arrendere, andiamo avanti. Anche perché dopo l'estate, io credo, ci dovrà essere un po’ di ripresa. Certo, se dovessi cominciare oggi, con questa situazione, forse lascerei perdere».

Le speranze dell'allevatore sono legate al consumo stagionale del latte, più consistente in autunno e inverno. «Purtroppo abbiamo aperto gli ultimi distributori a maggio, in piena crisi e col caldo in arrivo. Questo ci ha penalizzato e lo sapevamo, ma avevamo fatto delle promesse ai comuni, non potevamo rimangiarcele. Inoltre aumentare il numero di punti vendita è un sistema per compensare il calo nel singolo impianto».

Sempre per aumentare gli introiti e differenziare l'offerta, i Barcella oltre al latte vendono i derivati.
«I distributori, tutti della One Service, permettono di vendere anche prodotti solidi. Per esempio, i formaggi freschi che facciamo fare col nostro latte e poi lo yogurt di un allevatore nostro amico. C'è una forte domanda di prodotti agricoli acquistati alla fonte. È una filosofia che si sta diffondendo. Se avessimo la forza di organizzarci, noi e gli altri agricoltori, ed aprire nei negozi autogestiti... Purtroppo siamo imprenditori agricoli e non commercianti, ci manca una competenza in questo senso».

mercoledì 16 dicembre 2009

OGM, Bayer ammette che la contaminazione è fuori controllo


E’ una delle prime battaglie del genere a essere vinte e probabilmente sarà seguita da molte altre: la Bayer CropScience LP dovrà pagare circa $ 2 milioni di euro a due agricoltori del Missouri, dopo che una varietà sperimentale di riso OGM, chiamato Liberty Link, ha contaminato i loro raccolti.

La Bayer è proprietaria dei semi del riso LLRICE601, modificato geneticamente attraverso un batterio e che risulta però resistente a un erbicida della Bayer. In pratica viene piantato il riso e in seguito si sparge l’erbicida che distrugge tutto tranne appunto che le piantine di riso. Questa varietà di riso è ancora sotto sperimentazione e la sua produzione non è destinata all’alimetazione umana. Gli esperimenti sono partiti nel 1998 nei campi di prova OGM presso la Lousiana State Univerity. Il punto è che le colture hanno contaminato per almeno il 30% le risaie vicine e sono stati denunciati nell’area altre 1000 casi simili.

Le analisi dell’ USDA nel 2006 dimostrarono la contaminazione del riso normale e ne vietarono non solo la vendita ma costrinsero i risicoltori a distruggere i raccolti. I danni furono pari a circa 150milioni di dollari. Dunque l’attuale risarcimento di 2 milioni di dollari rappresenta solo un piccolo passo. Ma la class action americana non si è conclusa e il contenzioso che si dibatterà il prossimo 11 gennaio, sempre nel tribunale di St.Louis riguarderà agricoltori dell’Arkansas e del Mississipi. Già in passato vi fu una class action condotta contro le contaminazioni causate dal mais OGM “StarLink”, destinato all’alimentazione animale, ma che finì nella catena alimentare umana e che costrinse agricoltori e produttori a distruggere diversi alimenti come i tacos. La class-action portò a una richiesta di danni per 110 milioni di dollari.

venerdì 11 dicembre 2009

Udine organizza il COMPRA ITALIANO


Il prossimo 19 Dicembre nella città di Udine si terrà una giornata in difesa dei prodotti italiani e dell'agricoltura organizzata da "Lega Della Terra" e FN Udine.
La giornata si articolerà tra il presidio e la festa del "COMPRA ITALIANO" con tanto di degustazione di prodotti locali.
L'invito è ovviamente quello di non mancare,non tanto per il fattore ludico, quanto per l'importanza
dell'iniziativa che mira alla salvaguardia dei nostri prodotti,quindi,della nostra economia.

Per informazioni: 3387448332-forzanuova.udine@libero.it

martedì 8 dicembre 2009

STATE ATTENTI!

Prima di leggere questo articolo vi rimandiamo al nostro post del 07/10/2009 intitolato "come ti anniento il Sardo" e vi invitiamo a trarne le dovute conclusioni.



IMPRESAMIA.IT-REGIONI - Campania: 5,5 mln per aziende ortofrutta

Deciso anche il finanziamento per la creazione di un Consorzio Fidi per le imprese agricole

REGIONI - Campania: 5,5 mln per azinde ortofrutta

Intesa tra Regione Campania, Abi, Ismea e associazioni regionali del settore agricolo per una serie di interventi di contrasto alla crisi, a partire da un impegno, da parte dell’assessorato all’Agricoltura retto da Gianfranco Nappi, a finanziare le aziende con uno stanziamento complessivo di 5,5 milioni di euro. Definita anche una proposta di prolungamento della sospensione dei pagamenti delle rate dei mutui, che sarà vagliata dagli istituti di credito. In particolare, l’assessorato all’Agricoltura stanzierà 2 milioni di euro per le attività dell’ultimo trimestre di quest’anno, e, all’interno della Finanziaria regionale 2010 altri 2 mln per le attività relative al primo trimestre del prossimo anno, nonché, sempre all’interno del documento contabile 2010, 1,5 milioni di euro per il finanziamento della legge regionale 13/2002 volta alla creazione di un Consorzio Fidi per aziende agricole.
L’Abi si è impegnata a convocare il suo organismo regionale per esaminare la proposta di prolungare da 12 a 18 mesi il termine massimo di sospensione dei pagamenti, da parte delle aziende agricole, delle rate dei mutui contratti con gli istituti di credito, a fronte dell’impegno della Regione di farsi carico del pagamento di una ulteriore quota di interessi legata al prolungamento. Ismea garantisce di valutare positivamente, senza oneri aggiuntivi per le aziende agricole, le richieste di rilascio di garanzie sussidiarie a fronte di operazioni bancarie di sospensione dei pagamenti di durata massima di 18 mesi.
Insediato anche un gruppo tecnico, del quale fanno parte anche i rappresentanti delle organizzazioni professionali, per definireil regolamento attuativo per le misure di finanziamento regionali.

giovedì 3 dicembre 2009

...il Partito Democratico sulla privatizzazione dell'acqua...


Si tiene oggi,presso la sede del PD di Montella un'incontro intitolato"Acqua,tra gestioni e privatizzazioni" al quale interverrà l'Alto Calore nella persona di Franco Maselli;
fin qui niente di strano se non fosse che alcuni mesi fa, quando sia il sopracitato Maselli,sia il direttivo del circolo piddino montellese,furono invitati a partecipare alla conferenza indetta da Forza Nuova Montella in occasione della presentazione al pubblico del Progetto "ACQUA NOSTRA"(che sarebbe servito proprio ad evitare i problemi inerenti la privatizzazione), hanno accuratamente declinato l'invito dimostrando totale disinteresse per le questioni sociali che oggi,(peccato sia troppo tardi) vanno ad affrontare.
Ricordiamo ancora una volta che anche il PD ha delle pesanti responsabilità riguardo la ratifica del trattato di Lisbona,nel quale,(lo avessero almeno letto!) si spiana la strada proprio a privatizzazioni di questo tipo.
Non ci resta che chiedere dunque a cosa possa servire l'incontro odierno,forse per fare un pò di propaganda in vista delle elezioni regionali?
Chiudo con un proverbio in Montellese che mai fu più appropiato:
ROPPO ARSO MORRA VENETTE A CHIOVE!
(dopo che la cittadina fu totalmente distrutta dalle fiamme,piovve)

martedì 1 dicembre 2009

Caro ministro,ma che dice?



Ha detto ieri Claudio Scajola ministro per lo Sviluppo economico:

Io se potessi scegliere dove mettere una centrale, me la metterei nel giardino di casa, per un semplice motivo: che in tutto il mondo, dove è stata costruita una centrale nucleare, è cresciuta l’economia del territorio e c’è stata una grande salvaguardia dell’ambiente, perché non ci sono emissioni.E’ necessario avere un mix di fonti. Vogliamo diminuire il gas, il carbone e il gasolio; vogliamo aumentare le rinnovabili, compreso l’idroelettrico, ma ci vuole qualcosa in più che dia stabilità: il nucleare.

La battuta del Ministro Scajola, cioè che vorrebbe una centrale nucleare nel suo giardino, giunge all’indomani delle dichiarazioni del Premio Nobel Rubbia in merito alla costruzione di nuove centrali in Italia. Ha detto Rubbia:

Si sa dove costruire gli impianti? Come smaltire le scorie? Si è consapevoli del fatto che per realizzare una centrale occorrono almeno dieci anni? Ci si rende conto che quattro o otto centrali sono come una rondine in primavera e non risolvono il problema, perché la Francia per esempio va avanti con più di cinquanta impianti? E che gli stessi francesi stanno rivedendo i loro programmi sulla tecnologia delle centrali Epr, tanto che si preferisce ristrutturare i reattori vecchi piuttosto che costruirne di nuovi? Se non c’è risposta a queste domande, diventa difficile anche solo discutere del nucleare italiano.


Ebbene a pochi giorni dal Vertice di Copenaghen uno studio del Wisconsin Environment dal titolo: Generating Failure - How Building Nuclear Power Plants Would Set America Back in the Race Against Global Warming dimostrerebbe che per gli obiettivi che si vorranno prefissare, a Copenaghen, cioè la riduzione del 50% di emissioni entro il 2050, ricorrere al nucleare è praticamente inutile.

Secondo il report negli Stati Uniti, sarebbero necessari almeno 100 impianti per ridurre le emissioni di 6 miliardi di tonnellate nei prossimi 20 anni. Se si investisse nelle energie rinnovabili si otterrebbe il doppio del risultato nella metà del tempo. Spiega il Wisconsin Environment che la riduzione di emissioni di CO2 per ogni dollaro investito , nel caso delle biomasse è pari 5-8 chili, mentre dall’efficienza energetica salta intorno agli 8-12 chili, 5-8 chili nell’eolico, 2-3 chili nel solare termico e solo 1-2 chili dal nucleare. Il discorso nonc ambia se invece del fattore economico si analizza il fattore tempo. Una centrale nucleare non è pronta in meno di 7-10 anni ma nel frattempo i gas serra nell’atmosfera continueranno a aumentare e dunque le centrali, posto che ne possano essere costruite 100 senza nessuna interruzione, giungeranno troppo tardi per far sentire i loro presunti benefici all’atmosfera? Infine, considera il rapporto, l’energia nucleare serve solo a produrre elettricità, che di fatto rappresenta una piccola parte dei consumi energetici.