martedì 8 febbraio 2011

Federalismo: è muro contro muro

 Essendo un argomento che,bene o male, tocca tutti noi,proponiamo il pezzo del quotidiano on line LINEA sulla votazione tenuta oggi sul federalismo municipale
 
Linea anno XIV numero 26

La Bicamerale si è espressa con un voto di parità negativo, ma il Governo punta ad andare avanti lo stesso con uno o più decreti. Frenetiche consultazioni tra Tremonti, La Loggia e Baldassarri. Riserbo dei leghisti che avevano promesso di far cadere
il Governo in caso di mancata approvazione: ma in tarda serata Bossi annuncia che il ricorso alle urne non è imminente

Il “ricatto” di Bersani al Carroccio: «Via il Premier e ne riparliamo»
Il federalismo oltre a non piacere ai cittadini del Sud, dati Censis, non è piaciuto nemmeno ai componenti della bicamerale che con un 15 a 15 hanno rispedito al mittente la riforma. Non si è dato per perso il Presidente della bicamerale Enrico La Loggia: «Martedì sarà convocato l’ufficio di presidenza e da subito si comincerà ad esaminare il decreto legislativo sul federalismo regionale».
Si va avanti, dunque, senza sosta, la Lega vuole incassare il via libera altrimenti si rischia un divorzio interno a quel che resta della Maggioranza. Non solo, lBossi in questi giorni sta rischiano il fratricidio, Maroni Calderoli, sono ai ferri corti, sarà anche per questo che ha deciso di aspettare prima di andare al voto. L’Opposizione non sapendo che pesci pigliare e avendo come unico obiettivo della legislatura far cadere Silvio Berlusconi, ha detto per bocca di Bersani: «Via il Premier e ne riparliamo». Nel frattempo Tremonti si è riunito a stanze separate per cercare la quadratura del cerchio e c’è chi scommette che sia già pronta. I comuni si sa sono ostili al provvedimento, in questo periodo non sono assolutamente capaci di pensare di poter far quadrare i bilanci senza i finanziamenti a pioggia, la sanità regionale risucchia l’80% dei bilanci. E proprio in quel ramo, d’azienda pubblica stanno tutti i raccomandati, i silurati della politica che proprio non si sa dove collocare.
Si riparte dunque da un decreto che anticiperà l’applicazione della riforma fiscale municipale, mentre i tecnici di Tremonti stanno perfezionando l’Imu, l’imposta municipale unica, che dal 2014 entrerà in vigore e accorperà Ici e Irpef. In altre parole è muro contro muro ma più che sui contenuti della riforma sulla questione politica: su chi sta cercando di rimanere a galla e chi vuole affondare il Governo. Ma ilfederalismo serve veramente?

Federalismo: stop in Bicameralina

Una legge pasticciata che non piace neanche a chi dovrà applicarla, ma che contiene elementi innovativi che potrebbero dare una svolta al Paese
La doccia fredda è arrivata alle due del pomeriggio. Le previsioni della vigilia diventano realtà: pareggio nella “bicameralina” sul federalismo municipale. 15 a 15: il testo è respinto. Compatte le opposizioni, Terzo Polo, Pd e Idv che hanno votato no con il sostegno determinante del senatore finiano Mario Baldassari. A nulla vale, per il fronte del sì, composto da Pdl, Lega e della senatrice Svp Helga Thaler, il voto del vertice della Commissione Enrico La Loggia. L’esito dice questo. E in fondo si sapeva.
Non a caso, già prima del responso, Berlusconi aveva tentato di indorare la pillola agli alleati padani: una eventuale parità doveva andar bene senza che fosse vissuta come una sconfitta. Tanto che nel vertice a Palazzo Grazioli, allargato subito dopo l’esito della votazione della commissione ai Ministri del Carroccio, compreso Tremonti, il Premier ha continuato a mostrare sicurezza: il patto con la Lega è saldo. Il Governo va avanti.
Rassicurazioni concordate direttamente con il leader del Carroccio Umberto Bossi. Del resto, davvero pochi dubbi a riguardo. Nella mattinata il Senatur aveva smorzato i toni. Da sempre abilissimo a porre perentori aut aut, ieri il Ministro delle Riforme ha mutato registro, forse consapevole dell’imminente verdetto. Sicché tutti i suoi «o passa il federalismo o si va al voto» hanno dovuto cedere il passo a una più attenta e cauta valutazione. Le elezioni - adesso lo sostiene anche Bossi a dispetto delle varie volontà del suo partito - non sono la conclusione imminente. Il suo «non penso siano vicine» ha il sapore della resa. Gli fa eco il più sconfitto di tutti, Roberto Calderoli. Il Ministro per la Semplificazione è costretto ad abbassare la cresta, ammettendo che sul da farsi «si decide assieme». Chiaramente è necessario ridimensionare la portata della sconfitta. «È stato respinto un parere, non il provvedimento», Calderoli ci tiene a sottolinearlo. Anche per pararsi dagli affondi che intanto piovono sul Carroccio. L’Opposizione fa festa e cavalca il momento: la Maggioranza non ha più i numeri per governare. Bersani prende la mira e carica: «Adesso ci si fermi, non ci sono condizioni né giuridiche, né politiche per andare avanti. Berlusconi e Bossi prendano atto della situazione. Si creino condizione politiche nuove per un nuovo federalismo». Il Segretario del Pd è convinto che «un vero federalismo sia necessario e possibile. Quello che è stato respinto era un pasticcio». La visione del leader del Partito democratico, tuttavia, non trova corrispondenza nell’idea che i cittadini hanno del federalismo in generale. Il Sud lo vive con timore. Eloquente l’ultima ricerca del Censis: «Quattro italiani su dieci (il 41%) credono che il federalismo fiscale possa contribuire a migliorare la gestione della cosa pubblica, ma la metà dei cittadini (il 50,2%) è del parere che la riforma aumenterà il divario economico e sociale tra il Nord e il Sud». Secondo il rapporto, i giudizi sul provvedimento «spaccano in due il Paese, con un Nord dove la riforma incontra la maggioranza dei consensi e un Sud dove, al contrario, il 60,6% della popolazione si esprime in senso decisamente critico, temendo gli effetti di penalizzazione». Opinioni che danno la stura all’europarlamentare Borghezio per tuonare da Bruxelles. «Il voto della bicamerale dimostra, più e meglio di qualunque discorso o ragionamento politico, quanto sia difficile far “passare” (leggi: inghiottire) il federalismo in Italia». Per l’irruento esponente padano «a questo punto sembra lecito, e doveroso, porsi il quesito: siamo sicuri che questa Italia meriti il federalismo, che altro non è che l’abito politico-istituzionale consono ai Paesi civili? Padania libera!», urla Borghezio, tanto per non alimentare i sospetti di trappola federalista così diffusi al di sotto della linea gotica.
Più significativo, va da sé, il silenzio tombale dietro cui si trincera il Ministro dell’Economia. All’uscita da Palazzo San Macuto, sede della commissione, Giulio Tremonti non apre bocca. Inutili i tentativi dei giornalisti di strappargli una battuta sulla bocciatura del parere. Tremonti è irremovibile: si allontana nell’auto blu senza parlare. Diretto al vertice con Berlusconi.
E se da lì viene partorita tutta quella volontà ad andare avanti è chiaro che un’altra strategia per rassicurare la Lega deve essere stata messa sul tavolo. Tremonti regista, naturalmente. Il Terzo polo subodora qualcosa e non a caso avverte: nessuna forzatura da parte della maggioranza. Vedremo.
Sabrina Varriano
Quindici a quindici, quanto basta per un parere negativo della bicamerale in materia di Federalismo fiscale. Ma il Governo è intenzionato a portarsi a casa il via libera alla riforma quindi ora si passa al decreto e poi al voto alla Camera. Questo almeno è quello che ha riferito Enrico La Loggia, presidente della bicamerale, in una conferenza stampa: «Martedi - ha riferito - sarà convocato l’ufficio di presidenza e da subito si comincerà ad esaminare il decreto legislativo sul federalismo regionale».
Ma peché questo federalismo non piace soprattutto ai Comuni che tanto fanno perché non venga applicato?
Innanzi tutto si basa sul principio che le amministrazioni locali debbano essere responsabili dei conti pubblici locali. E quando si dice responsabili, si intende di ogni centesimo che spendono e sopprattutto le giunte devono cominciare a ragionare in termini di spesa in base alle entrate.
Nessuno, da ora in poi, dal centro, coprirà i buchi di bilancio della periferia.
A quanto pare oltre al patto di stabilità interna che blocca le uscite se un Comune è esoso e con i conti non in regola, ora le Giunte dovranno mettersi a tavolino e ragionare sui come, dove e quanto tagliare, visto che si potrà sopravvivere solo con i trasferimenti “periquati” dell’Iva su scala nazionale e ancora si attingerà solo parzialmente dalle imposte, che fino ad ora erano Irap, Irpef, e che poi, dal 2014, verranno in parte rimpiazzate dall’Imu (imposta municipale unica) che comprenderà Irpef e ex ICI. Addio dunque alla politica dei trasferimenti a pioggia. E qui nascono i primi problemi: non tutte le Regioni hanno cittadini virtuosi, che versano le tasse. Per esempio in Emilia Romagna i cittadini dichiarano mediamente circa 15.000, 16.000 euro l’anno eppure tutta la costa è edificata massicciamente da strutture ricettive. Possibile che la media sia così bassa?
Non dichiarare i redditi da ora in poi sarà per i concittadini regionali una spada di Damocle, sì, perché parte degli introiti delle imposte locali rimane sul territorio, ma se nessuno dichiara i redditi che cosa rimarrò nelle tasche delle Giunte? Si scateneranno controlli a catena che renderanno impossibile nascondere al fisco le entrate familiari o societarie.
A pagare questa novità, in sé, giustificata e necessaria dopo anni di sperperi, tangenti e mala gestione sanitaria, alla fine dunque, saranno ovviamente i cittadini.
Per alcune Regioni, poi sarà una vera e propria catastrofe, quelle per capirci che hanno già i conti in rosso. Perché oltre a sanare il debito, non si sa con quali soldi, dovranno reperire risorse per mandare a vanti l’amministrazione.
La difficoltà maggiore sarà trovare finanziatori per la spesa sanitaria che assorbe l’80% delle uscite di ogni Regione.
E con la riforma del Federalismo lo Stato contribuirà sì, alla spesa sanitaria, ma con il rimborso del miglior prezzo. Per esempio se una garza sterile a Bergamo costa 2 centesimi e a Catanzaro 80, i 78 centesimi di differenza li deve sborsare la Regione Calabria.
Ci sarà una vera e propria rincorsa al ribasso che potrebbe essere controproducente per i cittadini che potrebbero subire un abbassamento della qualità dell’assistenza sanitaria.
Più che una probabilità è una certezza a meno che la Regione non possa usufruire di introiti propri.
E questo fa pensare ad un inasprimento delle tasse locali.
Tra le novità, di principio, inserite nel federalismo municipale, infine la clausola che: chi male amministra va a casa. Nessuna possibilità di essere rieletto se i conti locali non tornano.
Ci sono dunque dei principi della legge che sono validi e che in linea di massima nessun cittadino boccerebbe, il dramma è che per applicare i principi servono molti soldi che nessuno al momento sembra avere, forse tra tutte le priorità di Governo il Federalismo fiscale è quello meno urgente. La ripresa economica, invece, non può aspettare, forse si potrebbe congelare il provvedimento fino a che la situazione economica del Paese non migliora e poi si potrebbe ripartire magari migliorando il testo attuale che per accontentare tutti finisce con l’essere inapplicabile al contesto italiano, diffcile territorialmente, e difficile dal punto di vista delle risorse economiche da reperire.
La riforma dunque può aspettare gli italiani no, aspettano risposte concrete.
Graziella Giangiulio

Maroni, prove tecniche da Capo del Governo

Al momento in cui scriviamo la maggioranza di centrodestra sta faticosamente raccogliendo i cocci di un federalismo respinto con perdite (sia pure con un pareggio numerico) nella commissione bicamerale. L’effetto immediato potrà essere più dirompente di quanti s’immagini e di quanto le dichiarazioni provenienti dal Popolo della libertà vogliano lasciar credere. C’è chi favoleggia di un agguato in preparazione da parte bossiana per il tardo pomeriggio - chi legge oggi saprà già tutto - durante la votazione per l’autorizzazione richiesta dalla procura di Milano per entrare nello studio del premier presidiato dal suo ragioniere di riferimento (il tutto nell’ambito dell’inchiesta sul così detto Ruby Gate).
E c’è chi dice che la tenuta della maggioranza è destinata a sgretolarsi nel corso di un imminente Consiglio dei Ministri. Sia come sia, soltanto Silvio Berlusconi ha sperato fino all’ultimo istante che il finiano Baldassarri salvasse il decreto: speranza mal riposta. è certo possibile che il Centrodestra imponga comunque in Parlamento un testo sul quale il parere della bicameralina resta pur sempre consultivo, non cogente fino al punto di farne coriandoli. Nondimeno la botta d’immagine è tremenda, sopra tutto per l’invasore padano, e offre adesso ai duri come Roberto Maroni (e Giulio Tremonti, anche se con un piano diverso e con corrente rispetto a quello del capo del Viminale) un pretesto formidabile per dichiarare chiusi i giochi di Palazzo e aperte le danze delle elezioni anticipate.
Il Centrosinistra, che non è affatto pronto alla bisogna, rischia di rimanere impiccato al recente testacoda tattico in funzione del quale ha preso a reclamare lo scioglimento anticipato delle Camere. Il terzo polo idem, sebbene Pier Ferdinando Casini non disdegni una conta che, nella peggiore delle ipotesi (nuova vittoria del centrodestra), lo vedrebbe in ogni caso uscire come leader riconosciuto di una coalizione politica decisiva negli equilibri di qualsiasi Governo a venire (in particolare nell’Aula del Senato). E il Cavaliere? Il Cavaliere non ha scelta: se cede lo scettro finisce a brandelli, massacrato dai giudici e finito a colpi d’ingratitudine dai suoi stessi ex sudditi di maggior rango. A questo proposito gli occhi degli osservatori si appuntano sulla sfuggente silhouette di Giulio Tremonti. Il titolare del Tesoro gongola all’idea dello stallo berlusconiano: tutto vuole tranne allargare i cordoni dell’erario per finanziare un piano di sviluppo e crescita, quello sventolato dal premier come ultima risorsa per sopravvivere, prima di ripiegare sulla pasticca di cianuro, dai confini così inafferrabili da apparire inquietanti. E poi l’ex fiscalista di Sondrio ha un progetto tutto personale da portare a compimento. Le elezioni gli gioverebbero, ponendolo al centro di ogni eventuale soluzione parlamentare in caso di insuccesso berlusconiano e di mancata affermazione da parte dell’opposizione. Ma c’è un ma.
Il suo antagonista più credibile oggi, una volta declassato Gianfranco Fini al rango di scendiletto casiniano, è il potente e popolare Roberto Maroni. Il Ministro dell’Interno sta conducendo una guerriglia personale all’interno della Lega per marginalizzare il ruolo di Roberto Calderoli (e fin qui nulla di nuovo da vent’anni) e costringere Bossi a indicare un leghista come prima scelta per la premiership del centrodestra: Maroni medesimo. Sarebbe un atto dirompente, tipico dello stile da pokerista esibito da Bossi nella sua carriera politica. Ma vorrebbe anche dire avviare le manovre per una doppia successione: quella alla guida del centrodestra post berlusconiano; e quella alla guida della Lega post bossiana. è facile capire che Bossi ancora non si senta pronto a farsi rottamare, e questo non è un ostacolo da poco. Anzi, pare essere la variabile indipendente nello schema d’assalto di un Carroccio in fondo non meno cupo e spaesato del cavaliere.
Giulio Linguerri

Forse è un’opportunità

Si sente dire spesso, di questi tempi, che bisognerebbe smetterla con il tormentone Ruby e pensare alle vere cose della politica, a quello che interessa la gente. L’appello parte da una considerazione che è difficile smentire ma, come tutti i luoghi comuni, rischia di scivolare nella banalità. La questione è infatti capire cosa davvero interessi le persone, cosa conti nella nostra vita concreta.
Se il passaggio di testimone avviene tra i presunti festini di Arcore e il federalismo fiscale, qualche dubbio è legittimo: l’esazione delle tasse è ovviamente di strettissimo interesse per i cittadini ma siamo sicuri che il nodo essenziale stia nel centro che la esercita?
Avendo studiato e conosciuto abbastanza bene Gianfranco Miglio, ho sempre nutrito forti dubbi sulla genialità del federalismo così come viene comunemente inteso dai politici italiani. Sistema ottimo quando si devono tenere insieme dei pezzi di Stati e dei popoli diversi, e pertanto scelta che sarebbe stata probabilmente opportuna per l’unificazione d’Italia così come lo è stata alla nascita degli USA, il federalismo applicato a una nazione già unitaria appare infatti una panacea illusoria.
L’auspicio che anima i sostenitori di tale sistema è che avvicinando in senso fisico i centri di spesa ai cittadini se ne tutelino meglio gli interessi: un luogo comune, di nuovo. In linea teorica tanto condivisibile quanto l’ipotesi opposta, quella per cui un amministratore locale è più corruttibile dalla rete di contatti di cui sarà inevitabilmente parte, mentre uno “centrale” potrebbe mantenere maggior imparzialità.
Non è difficile immaginare che l’applicazione del federalismo cambi enormemente, cioè, da luogo a luogo. Ancor più, il ragionamento vale per le esazioni fiscali, sulla cui applicabilità grava anche il forte dubbio relativo alle grandi differenze di base imponibile e conseguentemente di gettito tra le varie aree italiane, in funzione della diversa ricchezza prodotta.
Oltre a queste perplessità ce n’è poi una di tipo prettamente politico, giacché il federalismo si è trasformato nell’arma di ricatto che le opposizioni usano nei confronti della Lega, cercando di costringerla ad abbandonare Berlusconi in cambio dell’appoggio alla riforma istituzionale e fiscale desiderata dal Carroccio. In tali condizioni, è chiaro che anche la migliore delle soluzioni istituzionali e tributarie finirebbe per tradursi in una porcheria: da un inciucio di tal fatta non potrà venire niente di buono.
Detto ciò, va precisato con chiarezza che l’istanza federalistica portata avanti dai leghisti è sacrosanta. Intanto perché al dovere della solidarietà a livello nazionale si deve affiancare un’altrettanto netta assunzione di responsabilità da parte delle aree meridionali. Il Mezzogiorno non è arretrato solo per ragioni storiche né, tantomeno, soltanto perché l’unificazione ne ha bloccato alcune potenzialità di sviluppo, ma anche perché la società civile nel Sud non è sufficientemente libera nei confronti della criminalità organizzata e di un potere politico-amministrativo molto spesso di qualità pessima. E di tale liberazione l’onere spetta prima di tutto ai diretti interessati.
Ma, soprattutto, l’istanza federalista parte da una pulsione inconfutabilmente utilissima a svecchiare le istituzioni politiche come sono oggi concepite. Il sistema di rappresentanza democratico parlamentare attuale, fondato esclusivamente sulle appartenenze ideologiche e sulla mediazione partitica, è del tutto obsoleto. Bisogna quindi cercare delle dinamiche più aderenti alle identità civili e sociali odierne, tra le quali l’appartenenza territoriale è sicuramente essenziale.
Oggi siamo ciò che siamo, in minima parte, per come la “pensiamo”, e molto di più per il posto dove viviamo e per il lavoro che facciamo. Un bicameralismo nel quale un’aula sia deputata a ospitare rappresentanze di corpi sociali e delle aree territoriali sarebbe dunque un’innovazione di grande utilità.
Battista Falconi

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