venerdì 25 settembre 2009

IL PRIMO COLPO

Trattiamo brevemente del capostipite degli scandali legati al mondo agricolo al fine di evidenziare,qualora ce ne fosse bisogno,che ruolo (e che volontà) hanno avuto i politici e i megistrati,nello spianare la strada ai poteri forti dell'agricoltura.

Lo scandalo Federconsorzi

La Federconsorzi ed i consorzi provinciali collegati costituivano il grande apparato strumentale al servizio dell’agricoltura nazionale. I loro silos ed i loro mangimifici erano capaci di conservare e trasformare oltre metà della produzione cerealicola nazionale, gli agricoltori si rifornivano presso i consorzi di oltre la metà dei fertilizzanti e antiparassitari distribuiti nei propri campi, reperivano nei loro magazzini i pezzi di ricambio per tutte le proprie macchine, vendute secondo una strategia organica di prezzi stabili con il sistematico ricorso alle misure nazionale per gli acquisti favoriti dal credito agevolato. All’apice della parabola l’insieme del centro Federconsorzi e della periferia consortile fatturava ogni anno una cifra certamente superiore ai diecimila miliardi, utilizzando un apparato immobiliare che poteva essere stimato superiore ai quattordicimila miliardi. La Federconsorzi era regno incontrastato della Coldiretti di Paolo Bonomi, che l’aveva conquistata in un aspro scontro nel 1948 e affidata ad un gregario sicuro,il ragionier Leonida Mizzi, al quale Bonomi, onnipotente presso i governi democristiani, aveva assicurato l’esclusiva della manovra delle scorte pubbliche di frumento, mediante convenzioni favorevoli con la Banca d’Italia . Ritiratosi Bonomi dalla scena politica ne assumeva il ruolo un parlamentare barese, Arcangelo Lobianco, che affrontava il mandato con grandi ambizioni, prima tra tutte una sorta di primato sull’eredità ideale del Partito cattolico. Vantandosi l’ erede dello spirito dei fondatori della Democrazia cristiana, Lobianco si scontrava, in due clamorose occasioni, con Giulio Andreotti, cui rimproverava il tradimento degli ideali di De Gasperi. Orgoglioso paladino di grandi ideali, Lobianco era amministratore assolutamente incapace: morto Mizzi si faceva vanto di affidare la Federconsorzi a uomini che, proclamava, prima di ogni altra cosa dovevano essergli obbedienti: obbedienti ma incapaci. In un lustro i suoi amministratori oneravano un ente dai bilanci floridi di duemila miliardi di debiti che continuavano a crescere inarrestabilmente. Era a questo punto che, nel 1991, sotto la presidenza del consiglio di Andreotti, Giovanni Goria, un uomo di profilo modesto, palesemente esecutore degli ordini del superiore, esautorava il consiglio di amministrazione della Federconsorzi e insediava tre commissari che ne iniziavano la liquidazione. La decisione era comunicata a Lobianco in una drammatica seduta presso la segreteria della Democrazia Cristiana. All’imposizione Lobianco era incapace di opporre qualunque reazione, tanto da indurre a supporre che i suoi errori fossero tali da consentire agli avversari di costringerlo al silenzio minacciando di usare armi che si possono solo immaginare. La liquidazione sarebbe stata vicenda confusa, e sarebbe stata pilotata per trasferire l’intero patrimonio della Federconsorzi ad una società costituita dalle banche creditrici sotto la guida di Pellegrino Capaldo , il banchiere notoriamente vicino a De Mita ed Andreotti, cui gli stessi avevano, verosimilmente, affidato la vicenda. Caposaldo dello scandalo, la liquidazione di un ente che possedeva beni immobili e mobili valutabili oltre quattordicimila miliardi per ripagare debiti di duemila miliardi. L’enormità della differenza avrebbe costituito la ragione di due processi, uno aperto a Perugia uno a Roma. A Perugia il p.m. Razzi pareva avere raccolto le prove per cui ai periti del Tribunale di Roma il giudice Greco avrebbe impartito l’ordine di sottovalutare tutti gli immobili per non dover riconoscere che il patrimonio era attivo, una circostanza che avrebbe imposto di riunire l’assemblea della Federconsorzi, costituita dai presidenti dei consorzi provinciali, liberi di destinare l’attivo ai fini statutari, l’ipotesi che avrebbe dissolto il piano degli ispiratori politici di Capaldo. Il medesimo dottor Razzi non utilizzava, però, le prove raccolte in occasione dell’arringa e gli imputati, condannati in primo grado, erano assolti dal processo di appello celebrato nei tempi più brevi della storia della magistratura italiana.Il processo di Roma, imputati tutti gli amministratori degli anni precedenti il crack, è stato inghiottito dal mistero: qualche fonte sostiene che nessuna udienza sia mai stata celebrata, qualcuno dice che giudice e cancelliere si sarebbero periodicamente riuniti per verificare l’assenza di imputati e avvocati, e rinviare in attesa della scadenza dei tempi di prescrizione. La singolarità dello scandalo è costituita dall’assoluto silenzio della grande stampa, che ha ignorato entrambi i processi, favorendo, palesemente, chi ne disponeva l’insabbiamento. Paradossalmente la grande stampa finanziaria si è prodotta articoli di tripudio per l’assoluzione di Capaldo, senza spiegare da quali imputazioni fosse stato assolto siccome sul processo nelle stesse pagine non era comparsa una sola riga su una vicenda giudiziaria protrattasi per oltre un lustro. L’unico giornalista ad avere ricostruito e narrato la complessa vicenda è stato Antonio Saltini, incoraggiato dal presidente coraggioso di un piccolo gruppo editoriale, il professor Giorgio Amadei, che incoraggiò Saltini ad una faticosa, difficile, indagine. La serie degli articoli di Saltini su “Terra e vita” costituisce, così, la sola ricostruzione completa del maggiore scandalo fallimentare dello storia d’Italia. La serie di articoli è reperibile sul sito www.itempidellaterra.org . Saltini è stato condannato, peraltro, in sede civile e penale, per avere pubblicato una nota di cronaca giudiziaria prevedendo che l’arringa del dottor Razzi, che non aveva menzionato nessuna delle prove raccolte in quattro anni di indagini, avrebbe favorito l’assoluzione degli imputati: una previsione che si avverava puntualmente, ma che i colleghi fiorentini del dottor Razzi reputavano lesiva del prestigio del magistrato.

Nota : nel Dicembre 2007, la Corte d’Appello di Firenze ha assolto Antonio Saltini, giornalista, esperto di politica e Storia dell’Agricoltura ed Agroambiente, nonché estensore della Storia delle Scienze Agrarie . Questa assoluzione non riportata da nessun organo di stampa fa chiaramente intravedere cosa era successo alla Fedit, nonostante la grande stampa continua a tenere nascosta la verità. A Voi scoprire la connessione del silenzio con il caso Cirio. Cordialmente.

Nessun commento:

Posta un commento